Il linguaggio del viaggio: neologismi che raccontano l’evoluzione del turismo

Il linguaggio del viaggio: neologismi che raccontano l'evoluzione del turismo

Il linguaggio del viaggio: neologismi che raccontano l'evoluzione del turismo

Simona Carlini

18 Novembre 2025

Milano, 18 novembre 2025 – Il linguaggio del viaggio cambia al passo con il modo in cui ci muoviamo, scopriamo e raccontiamo il mondo. Oggi, chi parte per una meta lontana o si concede una breve fuga, spesso usa parole nuove, termini che fino a qualche anno fa non esistevano. Sono vocaboli nati per descrivere esperienze fresche, emozioni difficili da esprimere con le parole tradizionali. Eppure, proprio queste espressioni – alcune italiane, altre prese in prestito da altre lingue – riflettono una società in movimento, sempre alla ricerca di nuovi modi per parlare di sé e del desiderio di scoprire.

Viaggi e parole nuove: un linguaggio che si trasforma

Negli ultimi tempi, il modo di parlare di viaggi si è arricchito con parole come “bleisure”, che unisce lavoro e svago, per quei viaggi d’affari che si trasformano in momenti di relax. Oppure la “staycation”, la vacanza fatta in città o vicino casa, scelta da chi preferisce riscoprire i luoghi a portata di mano invece di prendere un aereo. Sono parole che raccontano abitudini diverse, nate anche da esigenze pratiche: conciliare lavoro e tempo libero o trovare soluzioni più attente all’ambiente.

La linguista Valeria Della Valle, intervistata da alanews.it, spiega: “Il linguaggio del viaggio cambia perché cambiano le esperienze e i bisogni delle persone. Oggi si viaggia in modo diverso rispetto a vent’anni fa: più cura per l’ambiente, più flessibilità, più voglia di autenticità”. Così nascono parole come “glamping” (da glamour e camping), che indica campeggi con ogni comfort, o “digital nomad”, ormai diffuso anche in Italia per chi lavora da remoto spostandosi di città in città.

Parole straniere che entrano nella nostra lingua

Non mancano i prestiti dall’inglese, ormai entrati nell’uso quotidiano. “Bookingare”, per esempio, è diventato un verbo tra i giovani che organizzano i viaggi online. Ma ci sono anche parole da altre lingue che raccontano emozioni difficili da tradurre. Il giapponese “komorebi” indica la luce che passa tra le foglie degli alberi: un termine usato da molti viaggiatori per descrivere momenti di pace nella natura.

Molti neologismi nascono proprio per colmare un vuoto. “Quando una lingua non ha una parola per un’esperienza, spesso la prende in prestito da un’altra”, dice Della Valle. Così termini come “wanderlust” (il desiderio irrefrenabile di viaggiare) o “fernweh” (la nostalgia per luoghi mai visti) sono entrati nel vocabolario degli italiani, soprattutto tra i più giovani.

Viaggiare oggi: i social e le nuove abitudini

Anche i social network hanno cambiato il modo di parlare di viaggio. Parole come “instagrammabile” sono nate per descrivere luoghi o momenti perfetti da fotografare e condividere online. “Oggi il viaggio non è solo un’esperienza personale, ma anche un racconto pubblico”, osserva la travel blogger Chiara Ferri. “Le parole servono a comunicare quello che sentiamo, ma anche a costruire la nostra immagine”.

Non è un caso che molti neologismi ruotino intorno alla condivisione digitale: dal “vloggare” (fare video-diari di viaggio) al “taggare” amici e posti visitati. Dietro queste parole c’è però un bisogno antico: raccontare il mondo e se stessi.

Il vocabolario del viaggio racconta la società

Alla fine, il successo di queste parole nuove dice molto su come cambia la società italiana. Più movimento, più attenzione alle emozioni, più voglia di distinguersi con esperienze uniche. “Il linguaggio riflette i tempi”, conclude Della Valle. “Se cambiano le parole del viaggio, vuol dire che cambia anche il modo in cui viviamo e pensiamo il viaggio”.

Così, tra un “bleisure” e una “staycation”, tra un “glamping” e un “komorebi”, il lessico dei viaggiatori si arricchisce ogni giorno. Forse proprio in queste parole nuove – a volte buffe, a volte poetiche – si nasconde il senso più profondo del partire: trovare sempre nuovi modi per raccontare ciò che ci muove.

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