Roma, 12 novembre 2025 – L’emigrazione italiana continua a rappresentare un fenomeno demografico e sociale di rilievo, con oltre 6,4 milioni di cittadini italiani iscritti all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero (AIRE). Questo dato, in costante crescita, evidenzia come la comunità italiana oltre confine sia oggi più numerosa degli stranieri residenti in Italia, confermando l’importanza della mobilità internazionale nel quadro demografico nazionale. Secondo il recente Rapporto Italiani nel Mondo 2025 della Fondazione Migrantes, la migrazione italiana non è più da considerare una semplice “fuga di cervelli” o un fenomeno di emigrazione di massa, ma un movimento complesso che coinvolge giovani, donne e intere famiglie, con scelte di vita e carriera che incidono profondamente sulle dinamiche sociali ed economiche italiane.
Italiani all’estero: numeri e destinazioni
Al primo gennaio 2025, gli italiani iscritti all’AIRE sono 6.412.752, pari a circa il 12% della popolazione italiana con cittadinanza. Questo dato riflette un incremento del 4,5% rispetto all’anno precedente e un raddoppio rispetto al 2006 (+106,4%). La mobilità italiana si concentra principalmente in Europa, che ospita il 53,8% dei residenti all’estero, ovvero oltre 3,4 milioni di italiani. Seguono le Americhe con il 41,1%, di cui 490 mila in Nord America. Le comunità più numerose sono quelle argentine (circa 990 mila) e tedesche (849 mila).
Nel dettaglio, Regno Unito e Germania continuano a rappresentare i poli principali della mobilità italiana: Londra ha accolto quasi 289 mila italiani negli ultimi vent’anni, Berlino 248 mila. Seguono Svizzera, Francia e Spagna, con comunità rispettivamente di 166 mila, 162 mila e 106 mila persone. Tuttavia, i saldi migratori sono negativi in queste principali mete, con perdite consistenti dovute al bilancio tra partenze e rientri: Londra registra un saldo negativo di 207 mila persone, Berlino 124 mila e Parigi 117 mila.
Le motivazioni e le caratteristiche della nuova ondata migratoria di italiani
La mobilità italiana negli ultimi due decenni si distingue per la presenza crescente di giovani, spesso laureati, ma anche di donne, la cui componente è aumentata del 115,9%. Il Mezzogiorno rimane la principale area di origine degli espatriati, con il 45% degli iscritti all’AIRE, seguito dal Nord Italia con il 39,2% e il Centro con il 15,7%. La nuova emigrazione, iniziata a inizio XXI secolo, è stata alimentata soprattutto dalla crisi economica globale del 2007-2008 e dalla conseguente difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro italiano.
Il Rapporto Fondazione Nord Est presentato al CNEL nel 2025 ha evidenziato come in tredici anni, dal 2011 al 2023, siano emigrati all’estero 550 mila giovani italiani tra i 18 e i 34 anni, con un saldo netto di 377 mila. Il capitale umano perso è stimato in 134 miliardi di euro, valore destinato a triplicarsi considerando dati sottostimati. Il presidente del CNEL Renato Brunetta ha definito questa situazione una vera emergenza nazionale, con ripercussioni profonde sul tessuto economico e sociale italiano, sottolineando la necessità di un Osservatorio sull’attrattività per i giovani.
Le motivazioni principali del trasferimento all’estero sono legate alle opportunità lavorative (25%), alla formazione e allo studio (19,2%) e alla ricerca di una migliore qualità della vita (17,1%). Solo il 10% indica il salario più alto come motivo primario. Molti giovani espatriati scelgono di stabilirsi soprattutto in paesi come gli Stati Uniti, che risultano la meta preferita a livello globale.
Impatti demografici e socioeconomici
L’ISTAT rileva che all’estero risiedono 1,6 milioni di giovani tra gli 11 e i 35 anni, con una tendenza in aumento e una quota significativa di acquisizione di cittadinanza dei paesi ospitanti. Il dato sottolinea una trasformazione profonda della comunità italiana all’estero, che non è più composta solo da emigrati storici ma anche da nuove generazioni inserite stabilmente nei contesti internazionali.
Dal punto di vista demografico, la perdita di giovani ha un impatto diretto sul mercato del lavoro e sulla crescita economica nazionale: secondo una stima della Banca d’Italia, entro il 2040 la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) sarà ridotta di 5,4 milioni (-14,4%), con una possibile contrazione della forza lavoro del 9%. Questo calo si riflette in una possibile diminuzione del PIL, aggravata dalla bassa partecipazione femminile al lavoro e dalla cosiddetta “child penalty”, ovvero la probabilità quasi doppia per le madri di perdere il posto di lavoro dopo la maternità.
Evoluzione storica e prospettive future
L’emigrazione italiana ha radici profonde e si è evoluta attraverso tre grandi fasi: la “grande emigrazione” tra fine Ottocento e anni Venti del Novecento, caratterizzata da partenze verso le Americhe; la “migrazione europea” dal dopoguerra agli anni Settanta; e la “nuova emigrazione” iniziata all’inizio del XXI secolo, legata alla crisi economica globale. Dal 1861 a oggi, più di 29 milioni di italiani hanno lasciato il Paese, con una percentuale significativa che non ha fatto ritorno. I loro discendenti, gli “oriundi italiani”, sono stimati tra i 60 e gli 80 milioni nel mondo.
La Fondazione Migrantes nel suo Rapporto 2025 evidenzia come la mobilità italiana sia diventata strutturale, con una crescente circolarità: si parte, si ritorna, si riparte, e cresce la complessità delle reti di connessione tra Italia e resto del mondo. Oggi la mobilità non è solo un fenomeno di fuga, ma anche di scelta, curiosità e progettualità personale, che contribuisce a ridefinire l’identità nazionale in chiave transnazionale e plurale.
Il contesto legislativo ha recentemente introdotto misure per migliorare la registrazione degli italiani all’estero: dal 2024 è in vigore un regime sanzionatorio per chi non si iscrive all’AIRE, con multe da 200 a 1.000 euro annui fino a un massimo di cinque anni, che ha già portato a un aumento delle iscrizioni e a dati anagrafici più accurati.
Infine, è importante sottolineare come la mobilità interna al Paese, in particolare dal Mezzogiorno verso il Centro-Nord, alimenti ulteriormente la pressione demografica e sociale, con oltre un milione di persone che hanno lasciato il Sud dal 2014 al 2024. Le province interne e montane si trovano così a dover affrontare spopolamento, chiusura di scuole e servizi, e impoverimento sociale, fattori che spesso rappresentano la prima tappa di un progetto migratorio più ampio che conduce all’espatrio.