Pangkalan Bun, 15 novembre 2025 – Nel cuore del Borneo indonesiano, tra le fitte foreste pluviali del Kalimantan centrale, il Parco Nazionale di Tanjung Puting resta una delle destinazioni naturalistiche più affascinanti dell’Asia. Ogni anno, migliaia di visitatori arrivano qui per vedere da vicino gli oranghi nel loro ambiente naturale, attratti dalla possibilità di un incontro ravvicinato con una delle specie più emblematiche e a rischio del pianeta.
Tanjung Puting: come arrivarci e iniziare l’avventura
La maggior parte dei turisti parte da Pangkalan Bun, una cittadina servita da voli giornalieri da Jakarta e Surabaya. L’aeroporto è piccolo ma funziona bene e da lì si raggiunge facilmente il porto fluviale di Kumai, a circa 17 chilometri. È proprio da Kumai che partono i tradizionali battelli in legno, i klotok, che risalgono il fiume Sekonyer fino al parco. “Il viaggio in klotok è un’esperienza di per sé,” racconta Siti, guida locale. “Il paesaggio cambia colore e atmosfera a ogni curva del fiume.”
Quando andare: il periodo migliore per vedere gli animali
Il momento ideale per visitare Tanjung Puting è tra giugno e agosto. In quei mesi il clima è più secco e gli animali si fanno vedere più spesso. Le piogge sono rare e i sentieri più facili da percorrere. Da novembre a febbraio, invece, il parco si fa fangoso e gli oranghi si nascondono meglio. “Durante la stagione delle piogge bisogna mettere in conto di camminare nel fango,” avverte Rahmat, ranger del parco.
Dormire sul fiume: il fascino dei klotok
Molti optano per tour di due o tre giorni, dormendo direttamente sui klotok. Le barche possono essere molto semplici, con materassi e zanzariere sul ponte, oppure più confortevoli, dotate di cabine con aria condizionata e docce calde. I pasti sono preparati a bordo dall’equipaggio: riso, pollo speziato e verdure fresche. “Di notte, il suono della foresta è incredibile,” racconta Marco, turista italiano. “Si sentono versi di animali che non avevo mai sentito prima.”
Incontri con gli oranghi: le stazioni di alimentazione
Il percorso classico prevede soste alle tre principali stazioni di alimentazione: Tanjung Harapan, Pondok Tanggui e Camp Leakey. Ogni giorno, a orari fissi (alle 9 e alle 15), i ranger portano frutta su piattaforme di legno per aiutare gli oranghi riabilitati dopo la cattività. L’arrivo degli animali si sente dal fruscio delle foglie: madri con i piccoli aggrappati al ventre, maschi dominanti che si fanno notare. “Non sono animali addomesticati,” spiega un volontario della Orangutan Foundation International, “ma esemplari in fase di reinserimento nella foresta.”
Non solo oranghi: la ricca fauna lungo il Sekonyer
Il parco ospita anche nasiche, gibboni, macachi dalla coda lunga e tante specie di uccelli come buceri e martin pescatori. Sulle rive fangose si possono vedere coccodrilli immobili come tronchi. Di notte, con le torce frontali, è possibile scorgere pitoni appesi ai rami, tarantole che escono dal sottobosco e, con un po’ di fortuna, i piccoli tarsi dagli occhi grandi.
Camp Leakey: la tappa dei grandi naturalisti
L’ultima fermata dei tour fluviali è spesso Camp Leakey, fondato nel 1971 dalla primatologa Biruté Galdikas in onore del paleoantropologo Louis Leakey. Qui si fa ricerca e si monitorano gli oranghi. La piattaforma di alimentazione dista circa un chilometro dal molo; durante la camminata si incontrano spesso gibboni bianchi sugli alberi e macachi curiosi vicino alle barche.
Quanto costa un viaggio a Tanjung Puting
Un tour di tre giorni in klotok parte da circa 350 dollari a persona, con pasti e pernottamento inclusi. Le escursioni giornaliere in motoscafo verso Camp Leakey costano circa 270 dollari, ma offrono meno tempo per vedere gli animali. Le agenzie locali segnalano che alcune aree sono accessibili anche a chi ha difficoltà motorie, grazie a passerelle in legno e sentieri pianeggianti, anche se salire sulle barche può richiedere assistenza.
Tanjung Puting tra natura e responsabilità
Visitare il Parco Nazionale di Tanjung Puting significa entrare in uno degli ultimi santuari della biodiversità asiatica. Ma è anche un’occasione per riflettere sull’impatto dell’uomo: le piantagioni di palma da olio arrivano fino ai confini del parco e rappresentano una minaccia costante per gli animali che vivono qui. “Ogni turista che arriva porta attenzione alla conservazione,” sottolinea una guida. Solo così, forse, la foresta potrà continuare a raccontare la sua storia.