Punta Arenas, 17 dicembre 2025 – Dodici ore in Antartide: è questa la proposta della compagnia cilena Antarctica Airways per chi sogna di mettere piede sul continente più remoto, senza però perdere la comodità di tornare in giornata. Il viaggio si può fare solo tra fine novembre e metà febbraio, un periodo stretto deciso dal meteo spesso imprevedibile e dalle rigide norme ambientali. Ma una volta atterrati a King George Island, sembra davvero che il tempo si fermi.
Dodici ore che cambiano la prospettiva
Si parte all’alba da Punta Arenas, nella punta estrema del Cile. A bordo dell’aereo BAE-146, con non più di una trentina di passeggeri — dato che le piste non sono asfaltate — si lascia la città alle spalle poco dopo le 6 del mattino. Dopo un volo di quasi tre ore sopra lo Stretto di Drake, spesso burrascoso, il paesaggio cambia. La calotta polare inizia a farsi vedere attraverso il finestrino. Atterrare a King George Island, intorno alle 9 locali, è come varcare la soglia di un altro pianeta: vento freddo che taglia la pelle e un silenzio quasi innaturale.
“Qui non senti rumore di macchine, né vedi niente che ricordi la vita di tutti i giorni,” racconta Andrea Di Marco, ricercatore italiano alla base cilena Eduardo Frei. Appena scesi dall’aereo, i visitatori vengono condotti in un piccolo edificio dove si spiegano subito le regole fondamentali: mantenere le distanze dalle colonie di pinguini gentoo e adelia, e soprattutto non contaminare quel terreno così fragile.
Tra basi scientifiche e incontri con i pinguini
Il fulcro della visita sono le stazioni scientifiche disseminate sull’isola. Si toccano il villaggio russo di Bellingshausen — un grappolo di edifici colorati — la base cilena Frei e la piccola chiesa ortodossa, una delle attrazioni più fotografate. Le guide raccontano come si studia il clima e come si tengono sotto controllo i ghiacciai e gli animali locali. “Vogliamo far capire quanto sia delicato questo ecosistema,” spiega Elena Torres, guida della compagnia.
E poi ci sono momenti di pura meraviglia: gruppetti di pinguini che sbucano timidi tra ghiaccio e rocce, camminando goffi come bambini alle prime armi. I visitatori devono stare zitti mentre scattano foto a raffica. L’impatto umano resta minimo: nessuna traccia lasciata dietro se non qualche impronta effimera sulla neve.
Un paesaggio fragile che parla chiaro
Il tempo vola sotto quel sole basso sull’orizzonte antartico. Dopo un pranzo veloce — niente tavolate, solo pasti pronti portati dal Cile — la visita prosegue verso la costa, dove si vedono i segni più evidenti dei cambiamenti climatici: crepacci larghi come strade e lastre galleggianti d’acqua dolce che si spezzano al ritmo delle stagioni. Qui le guide raccontano del fragile equilibrio del continente bianco: temperature in crescita e nuove specie che fanno capolino tra le rocce scure.
La giornata finisce al vecchio campo inglese “Shackleton”, ora un museo all’aperto. Davanti alla targa commemorativa, dove si ricorda l’arrivo dei primi esploratori del secolo scorso, il silenzio fa sentire ancor più forte il distacco dalla vita quotidiana.
Ritorno carichi di emozioni e sogni
Nel tardo pomeriggio l’aereo riparte verso Punta Arenas. I passeggeri salgono stanchi ma con lo sguardo carico di impressioni forti: qualcuno mostra foto sul telefono agli altri, qualcun altro racconta sottovoce degli incontri ravvicinati con i pinguini. Tornati in città verso le 20, Punta Arenas sembra quasi irreale dopo ore trascorse tra vento gelido e distese bianche.
Nella stagione passata sono stati appena 300 i fortunati visitatori: posti pochi, costi alti (il biglietto supera i 5 mila euro) e regole rigorose da rispettare. La parola d’ordine resta sostenibilità. “Non puntiamo al turismo di massa,” sottolinea Roberto Silva, responsabile operativo della compagnia. “È un’esperienza da tenere unica.”
Un’offerta che conquista chi cerca qualcosa in più dell’avventura pura — lasciando chi parte con voglia di tornare presto… magari per fermarsi qualche giorno in più.