Vientiane, 7 dicembre 2025 – In un angolo remoto del Laos, lungo le rive tortuose del Mekong, si trova un paese che sembra sospeso nel tempo, quasi dimenticato. Da quando il Laos ha aperto le frontiere ai turisti stranieri nel 1989, il fascino discreto di questa comunità isolata si è diffuso lentamente, quasi con timidezza, passando di bocca in bocca tra viaggiatori, esploratori e qualche giornalista curioso.
Un villaggio che sfida il tempo
La storia di questo villaggio sul Mekong – noto come Muang Ngoi, anche se i confini sono più fluidi di quanto mostrino le mappe – ha incantato chi è arrivato da lontano. Case in legno su palafitte, pontili traballanti, sentieri di terra battuta e una vita quotidiana scandita da ritmi lenti e quasi ostinati. Dal mercato mattutino (aperto all’alba e già chiuso alle 9) agli incontri silenziosi sulle barche dei pescatori, tutto qui sembra immune all’assalto del turismo di massa che ha cambiato molte altre mete asiatiche.
“Qui non si corre – racconta Somchai, uno dei barcaioli più conosciuti della zona – la gente arriva con calma, spesso si ferma solo per vedere il tramonto. E poi magari resta mesi.” Le sue parole risuonano nell’aria ferma della banchina principale, alle 17:45, quando il fiume riflette le ultime luci aranciate e nessuno sembra avere fretta di tornare a casa.
Dal passaparola ai primi turisti: la lenta scoperta
Secondo i dati del Ministero del Turismo laotiano, nei primi anni ‘90 i visitatori stranieri erano pochissimi ogni mese. “Si sentivano racconti vaghi tra i viaggiatori zaino in spalla,” spiega l’antropologa Céline Marchand, impegnata da tempo in ricerche nella provincia di Luang Prabang. “Parlavano di un posto dove il tempo sembrava essersi fermato e dove non c’erano automobili.” Solo dopo il 1995 le guide di viaggio hanno iniziato a citare il villaggio; ma le informazioni rimanevano scarse, spesso raccolte da appunti informali o consigli scambiati negli ostelli del Sud-est asiatico.
Oggi il numero dei visitatori resta contenuto: secondo l’associazione locale degli operatori turistici, nel 2024 non sono arrivati più di 12 mila stranieri. Il paese è ancora difficile da raggiungere: servono tre ore di navigazione lenta da Nong Khiaw o lunghi tratti su strade sterrate che con la pioggia diventano quasi impraticabili.
Il Mekong: cuore pulsante della vita quotidiana
Il Mekong qui non è solo uno sfondo. “È la nostra strada principale,” dice Anousone, anziana venditrice di tè che da vent’anni gestisce una capanna vicino al molo. Le sue giornate iniziano prima dell’alba: “Tutto dipende dall’acqua, dai pesci e dalla corrente. Anche il tempo sembra andare al ritmo del fiume.” Nelle case si cucina riso glutinoso con piccoli pesci d’acqua dolce; la sera ci si ritrova sotto lampade a petrolio tra poche chiacchiere e lunghi silenzi.
A Muang Ngoi – o semplicemente “il paese”, come lo chiamano gli abitanti – la rete elettrica è arrivata solo nel 2013 e funziona ancora a singhiozzo. C’è una scuola elementare, un ambulatorio con un medico arrivato dalla capitale Vientiane (il dottor Khamphoui, originario di Savannakhet) e poco altro. Internet? Disponibile in qualche guesthouse dal 2017 ma spesso sparisce nei pomeriggi ventosi.
Turismo lento: rispettare un ritmo diverso
Nonostante l’aumento graduale dei turisti, il villaggio ha scelto di limitare l’arrivo di grandi gruppi organizzati. L’amministrazione locale, guidata dal capo villaggio Souvannaseng, ha stabilito regole semplici ma chiare: niente hotel grandi o catene; solo piccoli alloggi gestiti dalle famiglie del posto; rispetto degli orari tradizionali; divieto di fare rumore dopo le 21.
“Non siamo una vetrina,” spiega Souvannaseng. “Chi viene qui deve adattarsi ai nostri tempi.” Alcuni turisti restano spaesati dalla mancanza dei comfort a cui sono abituati; altri invece trovano proprio nella lentezza ciò che cercavano. “Mi sono innamorata della calma e della gentilezza delle persone,” confida Elena Franchi, insegnante italiana arrivata per due settimane e rimasta oltre sei mesi.
Una comunità fragile tra passato e futuro
Non mancano però le preoccupazioni. L’arrivo crescente di stranieri porta nuove sfide: cambiamenti nei consumi alimentari, tensioni tra vecchie e nuove generazioni e anche qualche tentativo di speculazione immobiliare (per ora fermata dalle norme locali). “Temiamo che il paese perda la sua identità,” ammette Khamphoui, “ma non possiamo chiuderci per sempre.”
Per molti viaggiatori – ma anche per chi vive lungo il Mekong – questo villaggio resta un luogo dove il tempo scorre davvero più piano. Forse sta proprio qui la sua forza: saper custodire tradizioni senza ostentazione e lasciare chi passa osservare in silenzio un mondo sospeso tra passato e presente.