Sempre più italiani partono senza itinerario: cosa c’è dietro il fenomeno del drift travel

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Viaggiare senza programmi precisi riduce lo stress e aumenta la curiosità. - www.okviaggi.it

Luca Antonelli

23 Agosto 2025

Un numero crescente di viaggiatori italiani lascia perdere mappe e programmi: ecco come funziona il viaggio senza meta.

Nessuna guida, nessun albergo prenotato, nessuna destinazione scritta su un foglio. Solo uno zaino, una direzione approssimativa e la voglia di perdersi. È questo lo spirito del drift travel, una forma di viaggio che prende piede anche in Italia, soprattutto tra i giovani e tra chi ha vissuto periodi lunghi di stress, isolamento o routine forzata. La parola chiave è libertà: libertà di decidere strada facendo, senza farsi guidare dagli algoritmi, dalle recensioni o dagli orari dei treni. A Milano, Bologna, Torino e Roma sono nate piccole community informali che si scambiano racconti, consigli e storie nate proprio senza meta. Il fenomeno non è nuovo, ma sta attraversando una nuova stagione, spinto anche da una certa disillusione nei confronti del turismo organizzato e da un bisogno diffuso di rallentare.

Dove nasce il drift travel e perché molti lo associano alla necessità di “disconnettersi”

L’origine del termine risale agli Stati Uniti, dove veniva utilizzato per indicare chi viaggiava alla deriva, spostandosi a caso, spesso seguendo passaggi, occasioni casuali o spunti dell’ultimo momento. Ma è solo negli ultimi anni che il concetto si è evoluto in una pratica consapevole. I viaggiatori del drift travel non sono turisti disorganizzati, ma persone che scelgono di non pianificare per sottrarsi a una logica che trasforma ogni viaggio in un compito da svolgere. Spesso partono con un biglietto di sola andata, scegliendo un punto qualsiasi e lasciando che il resto accada. Non usano itinerari fissi né seguono rotte prestabilite.

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Un biglietto di sola andata e nessuna prenotazione: il viaggio inizia così. – www.okviaggi.it

Chi pratica questo tipo di viaggio racconta di aver ritrovato una connessione più autentica con i luoghi e con le persone. Molti descrivono l’esperienza come un esercizio di attenzione: camminare per ore senza sapere dove si arriverà, fermarsi quando qualcosa colpisce, parlare con sconosciuti per chiedere indicazioni o semplicemente osservare. Una forma di presenza piena, in contrasto con l’ansia da “lista di cose da vedere” tipica di chi viaggia secondo schemi rigidi.

Nel 2024, una ricerca dell’Università di Firenze ha osservato un campione di viaggiatori italiani tra i 25 e i 40 anni che hanno scelto di partire senza programma per almeno una settimana. I risultati mostrano un miglioramento della qualità del sonno, una riduzione dei livelli di cortisolo e una maggiore percezione di benessere emotivo rispetto a chi aveva affrontato viaggi turistici più strutturati. I dati indicano che l’assenza di controllo non è sempre fonte di ansia: al contrario, se accettata, può diventare un sollievo.

Com’è cambiato il modo di viaggiare in Italia e chi sono i nuovi viaggiatori senza mappa

Negli ultimi dieci anni, il modello di vacanza è cambiato. Dai pacchetti “tutto incluso” si è passati, lentamente, a formule più flessibili, fino ad arrivare al fenomeno attuale: partire senza sapere dove si dorme, cosa si visiterà, o anche solo quando si tornerà. Secondo una rilevazione pubblicata nel 2025 da ISTAT, oltre il 14% dei viaggiatori under 35 dichiara di aver fatto almeno una volta un’esperienza di viaggio senza prenotazioni o tappe obbligate. Il dato era sotto il 4% solo cinque anni fa.

La crescita si concentra tra chi lavora in smart working, tra i freelance e tra gli studenti universitari in pausa. Il drift travel non richiede grandi budget: si viaggia spesso con mezzi pubblici, autostop, oppure con soluzioni alternative come il couchsurfing o i piccoli campeggi spontanei. Alcuni preferiscono le zone interne d’Italia, lontane dalle rotte turistiche, come la Valnerina, l’Irpinia, il Molise o le zone rurali della Sardegna. Altri scelgono mete balcaniche, l’est della Spagna, o l’Albania, dove la spesa media giornaliera resta sotto i 20 euro.

Il viaggio senza meta ha una caratteristica precisa: non si fotografa per i social, o lo si fa con intenzioni diverse. Nessun filtro, nessun bisogno di mostrare dove si è. Spesso chi parte lascia addirittura il telefono in modalità aereo. La narrazione viene dopo, se viene. L’esperienza si consuma nell’istante presente e resta, in molti casi, un fatto privato.

Le testimonianze raccolte da chi ha viaggiato in questo modo parlano tutte una lingua simile: lentezza, stupore, margine d’imprevisto. Si va per strade secondarie, si dorme in luoghi insoliti, si incontra chi non si sarebbe mai incontrato. Per molti è un ritorno a una mobilità più umana, più fragile, più esposta. Ma proprio per questo più vera.

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