Famiglia nel bosco, la maestra Rossella D’Alessandra pronta a supportare i tre figli con l’educazione scolastica

Silvana Lopez

20 Dicembre 2025

Roma, 20 dicembre 2025 – Nell’aula luminosa dell’istituto comprensivo “Giovanni XXIII” di Pomezia, Rossella D’Alessandra, insegnante di lettere con vent’anni alle spalle tra i banchi laziali, ha deciso di prendersi cura, in queste settimane difficili, dell’educazione scolastica dei tre figli della famiglia Ahmed. È successo, come ha raccontato lei stessa a alanews.it durante un incontro nel suo studio all’ora del tramonto, perché “l’istruzione è un diritto, anche quando tutto intorno sembra fermarsi”. Da quando la madre dei ragazzi si è ammalata e il padre ha perso il lavoro, la situazione in casa Ahmed si è fatta pesante. La scuola, dice Rossella, “può fare da scudo. O almeno dare un appiglio, un po’ di normalità”.

Un sostegno concreto per non lasciare indietro nessuno

I tre fratelli – Sara, Jamal e Farid, 14, 11 e 8 anni – erano a rischio isolamento dal percorso scolastico. Per evitare che restassero indietro, la professoressa D’Alessandra ha scelto di intervenire direttamente: “La priorità ora è mantenere la continuità didattica. Non possiamo permetterci che per problemi in famiglia si perdano mesi di scuola”. Ogni mattina alle 9, precisa e puntuale, entra nell’appartamento della famiglia. “Porto con me qualche libro in più, matite colorate per Farid. Serve anche un sorriso”, spiega.

Per lei la scuola deve essere soprattutto accoglienza. “Lo dico spesso: bisogna trasformare la realtà in conoscenze accessibili. Non importa da dove si parte”. Il suo metodo gira intorno a questo punto. “Con Sara abbiamo lavorato sulle poesie di Montale, con Jamal ripetizioni di matematica. Farid invece ama disegnare: lo lascio libero e poi chiacchieriamo delle storie che inventa”.

Tradurre la realtà: didattica e umanità

Rossella è convinta che la didattica, quando si lavora con situazioni fragili, non può prescindere dall’ascolto e dall’adattamento continuo. “Ho visto molti ragazzi chiudersi se sentono fretta negli adulti – riflette –. Serve trovare sempre la giusta distanza, accogliere dubbi, domande, anche i silenzi”.

“Le regole le facciamo insieme”, dice Sara. La madre dei ragazzi, ancora stanca dalla malattia, segue le lezioni dalla porta della cucina. “Rossella entra senza fare rumore, non impone mai nulla”. In una settimana, raccontano gli studenti stessi, hanno ricominciato a sentirsi parte della classe. Passi piccoli ma importanti: correggere i temi insieme, chiamate con i compagni via tablet alle 11 del mattino o la videochiamata con la professoressa d’inglese il giovedì pomeriggio.

Un gesto che fa scuola

Il dirigente dell’istituto, Gianluca Vannucci, non usa mezzi termini: “In questo momento servono azioni come quella della professoressa D’Alessandra. È un esempio per tutti noi: ricordarci che il diritto all’istruzione non può essere messo in pausa”. I dati del Miur diffusi a ottobre mostrano come in Italia oltre 85mila studenti rischino ogni anno di abbandonare la scuola a causa di fragilità familiari o problemi economici.

“Non mi sento un’eroina”, minimizza Rossella. “Sto solo facendo il mio lavoro”. Eppure il suo impegno va oltre le ore di lezione: a volte resta anche il pomeriggio per aiutare Sara a preparare una verifica o organizza piccoli laboratori per tutti e tre i ragazzi. Nessuna formula magica: solo presenza.

La scuola che fa da presidio sociale

A Pomezia casi simili non mancano. Alcuni insegnanti si danno da fare con doposcuola gratuiti o raccolte di libri usati per chi fatica a comprare i testi scolastici. “Dopo il Covid molte famiglie fanno fatica anche a chiedere aiuto”, aggiunge Vannucci.

Per Rossella il vero rischio è dimenticare che la scuola deve essere soprattutto un presidio sociale: “Una volta i ragazzi portavano a casa anche storie degli altri compagni. Oggi nelle classi c’è molta solitudine – spiega – bisogna saper cogliere i segnali”. I numeri confermano questa realtà: nella provincia sud di Roma il tasso di abbandono scolastico è risalito al 12% nel 2024, molto sopra la media nazionale.

“Ogni insegnante ha una responsabilità civile – conclude Rossella – Non basta spiegare Dante o Pitagora se poi non guardiamo davvero chi abbiamo davanti”.

In quell’aula improvvisata tra un tavolo da cucina e una libreria in disordine la scuola resta aperta. Anche quando fuori sembra tutto complicato.

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