Kampala, 28 dicembre 2025 – Nelle nebbiose foreste fitte del Bwindi Impenetrable Park e del Mgahinga National Park, nel sud-ovest dell’Uganda, piccoli gruppi di viaggiatori si muovono in silenzio tra felci e liane, con l’obiettivo di catturare uno sguardo – a volte veloce, altre inaspettato – dei gorilla di montagna nel loro habitat naturale. Sono circa le sei del mattino quando le guide locali radunano i partecipanti all’ingresso del parco. Un breve briefing, qualche avvertimento (“niente flash, mantenete la distanza”), e si parte.
L’esperienza unica del gorilla trek in Uganda
Il richiamo dei gorilla trek è forte, ma resta un privilegio per pochi. I permessi sono pochi: solo 144 al giorno a Bwindi e appena 16 a Mgahinga. E ogni visitatore può passare massimo un’ora con i primati. La regola è chiara: prima la tutela. “Non sono animali abituati all’uomo”, spiega Amos, una guida veterana del parco. “Un contatto troppo stretto può portare malattie o cambiare il loro comportamento”.
Nel 2024, stando ai dati dell’Uganda Wildlife Authority, più di 20mila turisti hanno intrapreso queste escursioni. Un numero in crescita rispetto agli anni prima della pandemia, segno che cresce l’interesse verso un turismo più responsabile. “Sono venuta per vedere i gorilla ma anche per capire come difendere questi luoghi”, racconta Martina, arrivata da Milano con marito e due amici.
Conservare i gorilla senza fermare il turismo
I turisti rappresentano una risorsa fondamentale per la conservazione delle specie: il prezzo del permesso, salito a 800 dollari dal 2024 (circa 730 euro), finanzia ricerche e programmi per le comunità locali. Parte dei fondi va direttamente ai villaggi vicini: costruzione di scuole, ambulatori, supporto alle famiglie impegnate nella protezione della natura. Ma chi lavora sul posto non nasconde qualche timore: “Se smettessero di venire i visitatori qui sarebbe dura”, confida Fatuma, alla reception del centro visitatori di Buhoma. “Molti vivono proprio grazie a questi progetti”.
I risultati si vedono anche sul campo. Secondo gli esperti del Jane Goodall Institute, tra il 1995 e il 2020 la popolazione dei gorilla di montagna nei due parchi ugandesi è passata da circa 320 a oltre 460 esemplari. Un recupero che il WWF Africa definisce “incoraggiante”, ma la specie resta comunque nella lista rossa dell’IUCN come minacciata.
Tra fango e silenzi: il trekking non è una passeggiata
Muoversi nei parchi non è facile. La vegetazione è fitta, spesso si cammina sotto pioggia battente o nel fango fino alle caviglie. Le guide danno bastoni in legno e guanti robusti per aiutarsi. Qualcuno si ferma spesso: la quota di 2.400 metri mette alla prova anche i più allenati. Ma la voglia di vedere da vicino questi giganti spinge tutti a continuare.
“Ho sentito solo un fruscio”, racconta Anna, studentessa francese in vacanza. “Poi ci siamo trovati davanti a un maschio adulto che si grattava la testa come se non ci vedesse”. Tra sorpresa e rispetto non mancano nemmeno risate trattenute. L’incontro dura poco: dopo una decina di minuti la guida invita tutti a indietreggiare.
Il futuro dei gorilla passa dalle comunità locali
Il destino dei gorilla di montagna dipende molto da chi vive in queste zone isolate. Un tempo la convivenza era difficile: bracconaggio, deforestazione e lotte per la terra erano all’ordine del giorno. Oggi molti villaggi sono protagonisti dei progetti di conservazione, impegnati nella produzione di miele o negli orti condivisi. “Adesso sappiamo che i gorilla portano più vantaggi vivi che morti”, ammette Joshua Mugisha, responsabile di una cooperativa agricola nel distretto di Kisoro.
La sfida resta grande: secondo l’UNESCO, cambiamenti climatici e crescita della popolazione mettono ancora sotto pressione l’ecosistema dei parchi ugandesi. Ma per ora – almeno tra le nebbie basse di Bwindi – l’equilibrio tiene. Gli occhi dei gorilla incrociano quelli degli umani per un attimo soltanto. Poi ciascuno riprende la propria strada.