Avarua, 17 dicembre 2025 – Nel cuore dell’arcipelago delle Isole Cook, a quasi 200 chilometri a sud di Rarotonga, c’è Mangaia, l’isola vulcanica più antica della Polinesia Neozelandese. Un posto dove il tempo sembra essersi fermato: al mattino, tra boschi fitti e silenzi interrotti solo dal canto degli uccelli, i circa 500 abitanti si preparano a una giornata che cambia poco rispetto a un secolo fa. Qui bellezza e isolamento si mescolano: la natura comanda ancora e la storia millenaria si percepisce in ogni angolo.
Mangaia, l’isola antica tra mito e geologia
Secondo gli studi dell’Università di Auckland, Mangaia è nata almeno 18 milioni di anni fa. Un’età che la rende tra le isole più vecchie dell’intero Pacifico meridionale. L’isola – poco più di 52 chilometri quadrati – è plasmata da un vulcano spento, con pendii di basalto nero che scendono verso una corona di corallo e grotte carsiche. Molti scienziati arrivano dall’Europa per studiare la formazione delle terre emerse nell’oceano, portando avanti ricerche e campionamenti.
Ma non è solo la scienza a catturare l’attenzione. Per chi vive a Mangaia, storia e leggenda si intrecciano: «I nostri nonni raccontavano che l’isola è nata dopo una grande battaglia tra spiriti», spiega Tereapii Rangi, 48 anni, guida da tempo per i pochi turisti stranieri che arrivano. «Qui si crede ancora ai mana, i poteri della terra».
Tradizioni che resistono all’oblio
La vita qui scorre lenta: poche auto (spesso Toyota targate Rarotonga), molte biciclette e zero semafori. Ogni settimana il porto di Oneroa accoglie una nave da Avarua – quasi sempre all’alba – con frutta fresca, attrezzi e qualche scatola di medicine. Ma molto arriva ancora dalla terra e dal mare: manioca, taro, ananas e soprattutto pesce pescato, essiccato o cucinato sul fuoco di legna.
Le feste sono momenti importanti. Tra dicembre e gennaio torna chi era andato via: «I migranti rientrano a Mangaia solo per Natale e Capodanno», racconta Teau Moana, insegnante d’inglese nella scuola di Tamarua. Danze, canti e rituali polinesiani coinvolgono tutti sull’isola. «Sono giorni in cui qui si respira davvero aria di famiglia», confida.
Una comunità fragile ma unita
Negli ultimi dieci anni Mangaia ha perso oltre il 25% della popolazione, secondo il censimento delle Isole Cook. I giovani partono per cercare lavoro o studiare ad Auckland o in Australia. La scuola primaria accoglie appena cinquanta bambini; le attività commerciali si contano sulle dita di una mano. «Il rischio spopolamento è concreto», ammette John Kairua, sindaco dal 2022. «Ma proviamo a tenere vivi servizi e tradizioni».
La piccola clinica resta un punto fondamentale per tutti. In caso di emergenza grave serve un volo speciale da Rarotonga – una spesa che spesso supera i 3000 dollari neozelandesi. Un costo troppo alto per molte famiglie. Non mancano problemi: l’acqua potabile arriva quasi tutta dalla pioggia; le telecomunicazioni si affidano a una rete satellitare che spesso lascia isolate alcune zone.
Turismo discreto e sostenibile
Il turismo su Mangaia resta molto contenuto: meno di 200 visitatori l’anno in media. I pochi lodge familiari aprono solo su prenotazione anticipata; i prezzi – almeno 80 euro a notte – tengono lontani chi cerca vacanze low cost. Gli operatori locali però puntano molto sulla tutela dell’ambiente: «Non vogliamo diventare come Bora Bora», dice una proprietaria di guest house. Escursioni nelle grotte Makatea, snorkeling sulle barriere coralline o passeggiate tra le piantagioni di cocco sono organizzate rispettando i ritmi e gli spazi della comunità.
Chi arriva – spesso australiani o qualche italiano – trova un’accoglienza semplice ma sincera. Il bar centrale offre birra locale e pesce marinato; la sera ci si ritrova sulla spiaggia principale di Veitatei per guardare il tramonto che scivola lento sull’oceano. A Mangaia non ci sono resort né discoteche: qui il vero lusso è la natura.
Tra passato e futuro incerto
Oggi Mangaia è un mosaico fragile fatto di storia antica e sfide nuove. Da un lato il legame con il passato resta forte; dall’altro cresce la paura di perdere l’identità. La speranza degli abitanti – soprattutto dei giovani rimasti – è trovare un equilibrio tra apertura al mondo esterno e rispetto delle tradizioni locali. In mezzo all’oceano, lontana dai riflettori del turismo globale, Mangaia continua così la sua vita discreta: ogni giorno sembra uguale al precedente ma per chi ci vive non lo è mai davvero.