Genova, 6 giugno 2024 – Questa mattina, nell’aula bunker del tribunale di Genova, il pubblico ministero Massimo Terrile ha puntato il dito contro Giovanni Castellucci, ex amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, durante la requisitoria sul crollo del Ponte Morandi. L’udienza, iniziata alle 9.30, è stata l’ultima tappa prima delle richieste di condanna per i 47 imputati coinvolti nel processo. Secondo l’accusa, la manutenzione è stata messa da parte per far quadrare i conti della società.
Accuse pesanti contro i vertici di Autostrade
“Aspi doveva essere l’unica a fare profitto”, ha detto Terrile rivolgendosi a giudici e presenti. La procura sostiene che la strategia aziendale abbia ridotto sistematicamente i fondi per Spea Engineering, la controllata incaricata di controllare e mantenere le infrastrutture. “Il profitto – ha spiegato il pm – si otteneva tagliando le risorse a chi doveva garantire la sicurezza”. Un punto chiave, secondo l’accusa, che ha compromesso la tenuta del viadotto.
Castellucci nel mirino: la catena delle responsabilità
Durante una requisitoria di oltre tre ore, Terrile ha ricostruito la catena di comando in Autostrade per l’Italia, sottolineando che ogni decisione importante passava dal vertice. “Castellucci sapeva bene cosa stava succedendo”, ha detto citando documenti interni e testimonianze raccolte. “Non è stata una semplice svista, ma una scelta precisa: mettere i bilanci davanti alla sicurezza”. In aula, l’ex ad ha mantenuto uno sguardo fermo, senza tradire emozioni; accanto a lui, gli avvocati hanno preso appunti in silenzio.
Gli altri imputati e le responsabilità
Oltre a Castellucci, sono 46 le persone sotto processo per il crollo del Ponte Morandi del 14 agosto 2018, che ha causato 43 vittime. Tra loro, ex dirigenti di Autostrade e Spea, tecnici e funzionari pubblici. Il pm ha spiegato che le responsabilità sono “diffuse ma precise”, indicando i ruoli e i compiti di ciascuno. “Non è stata fatalità”, ha ribadito Terrile, “ma una serie di omissioni e scelte consapevoli”. Le carte del processo mostrano come diversi segnali di allarme siano stati ignorati o sottovalutati negli anni prima della tragedia.
In aula e fuori: il peso delle parole
Davanti al tribunale, alcune famiglie delle vittime seguivano l’udienza in diretta video. “Vogliamo solo giustizia”, ha detto Anna R., che ha perso il fratello nel crollo. In aula, il clima è stato teso ma ordinato: nessuna interruzione, solo qualche sussurro tra gli avvocati. “Sono state parole forti – ha commentato un legale della difesa – ma aspettiamo le richieste ufficiali prima di rispondere”.
La strada verso le condanne
Con la requisitoria di Terrile si entra nel vivo del processo. Nelle prossime settimane arriveranno le richieste di condanna per tutti gli imputati. Il collegio giudicante, guidato dalla dottoressa Paola Faggioni, valuterà caso per caso, basandosi sulle prove raccolte in oltre due anni di udienze. Fonti giudiziarie dicono che la sentenza potrebbe arrivare entro fine anno.
Un processo che parla di sicurezza nazionale
Il caso del Ponte Morandi è diventato un simbolo della gestione delle grandi opere in Italia. La procura ha più volte sottolineato come il crollo abbia messo a nudo problemi strutturali nella manutenzione delle infrastrutture stradali. “Non è solo una questione locale”, ha ricordato Terrile alla fine, “ma riguarda tutto il Paese”. Un avvertimento che risuona fuori dall’aula bunker, tra chi chiede che tragedie simili non succedano mai più.
L’udienza si è chiusa poco dopo mezzogiorno. I familiari delle vittime sono usciti in silenzio, qualcuno con lo sguardo basso. Solo allora, nei corridoi del tribunale, si è avvertita tutta la gravità delle accuse mosse oggi ai vertici di Autostrade per l’Italia.
 
					